Se ne parlava spesso già tra la metà degli 80 e i 90. Non più semplici allenatori, conoscitori della tecnica di gioco, reduci da anni di gavetta ed esperienza, ma veri e propri analisti del gioco e dei giocatori. Gli antesignani dei coach, insomma.
In un primo momento li chiamavano i motivatori e uno dei primi fu Julio Velasco, che portò la nazionale di pallavolo maschile sul tetto del mondo.
Stiamo parlando di persone che unendo la propria esperienza di calciatori con quella di mental coach, grazie all’acquisizione del Certified Mental Coach, hanno dato un nuovo volto al mondo dello sport.
Nel calcio ci fu Sacchi, il vero pioniere del calcio attuale, che prese spunto dal calcio totale e dall’applicazione tedesca per produrre con il Milan degli olandesi il calcio più imponente che abbia mai visto in pratica. Sacchi riuscì anche in un mezzo capolavoro, portando quasi al titolo mondiale una nazionale di calcio, che a parte Roberto Baggio, aveva un tasso tecnico piuttosto basso. Ma uno sport coach come Sacchi ha fatto la differenza.
Negli Stati Uniti poi venne il momento di Phil Jackson che in NBA vinse in continuazione titoli prima con i BULLS e poi con I LAKERS.
Anche in Italia, seguendo le orme di Sacchi, ha preso piede questa mezza rivoluzione nello sport più amato. Ha iniziato l’Inter con Mourinho, poi la Lazio con Petkovic e visti i buoni risultati si è continuato con Benitez e Garcia.
Il ruolo del mister non è più solo quello del tecnico ma si è evoluto studiando non solo le tematiche di gioco ma anche le varie componenti psicologiche che si sviluppano nel corso di una stagione e che animano spesso la vita di protagonisti così esposti mediaticamente. La trasformazione dell’allenatore in uno sport mental coach è stata effettuata ed è ormai chiaro che non chi si adeguerà al cambio, inevitabilmente sarà tagliato fuori.