Negli ultimi anni siamo stati abituati ad assistere a delle grandissime innovazioni, specialmente nel settore tecnologico, ma non solo, che hanno portato a dei rilevanti cambiamenti negli stili di vita delle persone, ma anche nei piani di marketing delle aziende. Ci sono dei casi nei quali, però, quello che ad una prima analisi può sembrare una novità, in realtà è il chiamare con una terminologia più attuale delle pratiche assai datate.
Questo è proprio il caso del barter, termine inglese che significa baratto, che è tornato di recente di grossa attualità. Il baratto è stata la prima forma di regolamentazione degli scambi commerciali, in uso nell’antichità, prima dell’avvento del denaro. Questa forma di transazione commerciale antica ha trovato un’ottima applicazione nel settore pubblicitario, rivelandosi assolutamente calzante come soluzione ad una problematica che attanaglia un sempre maggior numero di aziende: la mancanza di liquidità.
La crisi economica che da ormai diversi anni ci troviamo a dover fronteggiare, ha portato un sempre maggior numero di realtà economiche, prescindendo dalla loro dimensione, ad effettuare dei tagli drastici ai propri budget di spesa, riservando i movimenti finanziari ai capitoli considerati fondamentali per l’attività aziendale. Le spese per le campagne pubblicitarie, importanti ma non basilari, venivano ridotte drasticamente se non tagliate in maniera totale.
Con la pratica dei ricevere pubblicità in cambio merce si è riusciti a consentire alle aziende di mantenere invariati i propri investimenti pubblicitari , importantissimi per mantenere, anzi, ampliare la propria notorietà sul mercato, senza che questo comporti l’impiego di liquidità aziendale. Le concessionarie di pubblicità ricevono, in pagamento per le campagne pubblicitarie effettuate, le merci od i servizi prodotti dai propri committenti.
La pubblicità in cambio merce è diventata in poco tempo una tipologia di transazione economica assai diffusa, essendo che ha consentito di ottimizzare gli investimenti pubblicitari, e, come ovvio, ha delle sue regole e limitazioni ben precise. Le merci, cedute a compensazione dei servizi ricevuti, vengono valutate ai prezzi minimi di listino, il che consente di poterle immettere sul mercato a dei prezzi estremamente competitivi, motivo per il quale i tradizionali canali di vendita non possono essere preposti alla loro commercializzazione, poiché si incorrerebbe nella concorrenza sleale. E’ infatti impossibile che un negozio possa applicare le stesse percentuali di sconto che, invece, sono una delle caratteristiche principali delle vendite conseguenti alla pubblicità in cambio merce. Per questo motivo si è assistito alla nascita degli shopping club, veri e propri negozi, dislocati sul territorio od on line, ma con dei vincoli per quanto concerne il numero degli acquirenti che vi possono accedere. Il possesso di una tessera, spesso fornita da grandi aziende ai propri dipendenti a fronte di convenzioni, l’iscrizione ad un sito o l’aver ricevuto l’invito a partecipare ad una vendita, sono normalmente i requisiti richiesti agli ipotetici acquirenti.
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