Datare la coltura della vite in Calabria significherebbe andare molto indietro nei tempi, sicuramente ancor prima della venuta dei primi coloni greci del VIII secolo a. C. Del resto la coltivazione dei vigneti in queste terre era talmente intensa nell’età ellenistica che la Calabria fu detta “Enotria“, ossia terra del vino. Si capisce quindi come il vino che si produceva in Calabria, oltre ad avere una considerevole importanza per l’ economia dei tempi, era apprezzato e famoso per la sua qualità. Caratteristica di quel vino pare fosse la forza, il vigore ed il suo profumo intensissimo, capaci (si dice) di resuscitare anche i morti.
Le tavole di Eraclea danno un preciso valore ai vigneti del tempo in Calabria: un appezzamento di terreno coltivato a vigna valeva sei volte quello coltivato a cereali. Al dio Bacco erano innalzati ovunque templi, tra i quali famosissimo quello di Cremissa, odierna Cirò. E si vuole appunto che il vino Cirò discenda in linea retta da quel vino di Crimisa che si somministrava agli atleti vittoriosi nelle gare, per cui (insieme ad un altro grande vino di Calabria, il Greco di Bianco) sarebbe il nettare più antico d’Italia.
In epoca romana i vini della Calabria non riuscirono a ripetere il successo avuto in epoca greca. I Romani infatti prediligevano i vini autoctoni quali il Frascati. Mentre il Medioevo ne conobbe il rilancio, esportati per terra e per mare in tutta Italia ed anche oltre. Successivamente però nuove difficoltà incontrò la regione nel valorizzare i propri vini e tutt’ora la viticultura calabrese raccoglie meno riconoscimenti di quanti meriterebbe.
Attualmente la maggior parte della produzione di vino è ad un livello decisamente artigianale, e difatti ogni contadino vinifica da sé con criteri del tutto primitivi ed empirici: ciò impedisce l’ottenimento di una medesima qualità di anno in anno, ed a ciò può attribuirsi in parte la mancata diffusione dei vini calabresi nel resto d’Italia. Si rileva così la necessità che molta produzione del vino calabrese debba uscire dallo stato artigianale sì da poter essere maggiormente apprezzata in Italia e all’Estero.
Il Cirò è uno dei pochi vini veramente industrializzati, il primo che ha chiesto ed ottenuto la denominazione d’origine controllata. Conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo e’ entrato a far parte di ogni cantina che si rispetti e sulle tavole di ogni buon ristorante. Per il resto sono poche le aziende che hanno la denominazione DOC, anche se tale dato è in notevole incremento, iniziando una controtendenza rispetto al mercato vitivinicolo regionale degli ultimi 30 anni, caratterizzato da una profonda crisi ed impoverimento generale, visto che la viticultura è sempre stata una voce importante dell’economia locale.
In particolare altre tipologie di vini calabresi stanno ricevendo il supporto di siti di commercio elettronico che nel corso del loro percorso aziendale hanno ricevuto rilevanti feedback positivi dall’utenza servita, dunque svolgendo azione di educazione al consumo e promozione di particolari referenze e tipologie. Anche per ciò, forse, da qualche anno assistiamo ad una rinnovata ripresa produttiva, ispirata a nuovi criteri di qualità, un rinnovato entusiasmo nella produzione con un più attento lavoro in vigna e l’applicazione di nuove tecniche in cantina.
Nella zona della Piana di Sibari, ad esempio, si cerca di continuare una tradizione vitivinicola di spessore, visto che è proprio in tale area che si rilevarono le prime testimonianze di una imponente ed organizzata esportazione del vino. Questo partiva dal porto di Sibari, passava attraverso veri e propri enodotti, per essere caricato agevolmente sulle navi.
Nella menzionata zona, in particolare, si distingue anzitutto il vino Pollino doc, che vede la sua produzione all’interno del Parco Nazionale omonimo, in particolare nei comuni di Castrovillari, Civita, San Basile, Saracena, Cassano allo Ionio e Frascineto. La produzione di questo fantastico nettare deriva da vitigni quali Gaglioppo almeno per il 60%, Greco nero, Malvasia bianca, Montonico bianco e Guarnaccia bianca per almeno il 20%, con possibile aggiunta di uve a bacca bianca per un massimo del 20%.Il suo colore è rosso rubino tenue o cerasuolo; un profumo piuttosto intenso e persistente, fruttato, con sentori di prugne e ribes;il suo sapore è secco, caldo, abbastanza morbido, giustamente tannico, sapido, di corpo, equilibrato; i suoi 12/13 gradi ne fanno un vino ottimo per accompagnare costolette di agnello, capretto al forno, carni bianche arrosto, salsiccia, coniglio al forno, prosciutti e formaggi calabresi, servendolo a temperatura ambiente di 16-18°C.
Della medesima tipologia Pollino si menziona anche il Rosso Superiore, che richiede un invecchiamento obbligatorio di due anni: viene dai più considerato e’ classificato vino superiore da pasto
Il Valle del Crati Igt è rosso, rosato, bianco, novello e passito, ottenuto da uve sangiovese, merlot, cabernet sauvignon, magliocco, sauvignon blanc, riesling e greco bianco. La gradazione alcolica minima è 11,5% e 11% per, rispettivamente, rosso e novello e 10,5% per bianco e rosato, e 15% per passito. La relativa zona di produzione segue il percorso del fiume Crati, fino alla sua foce nel mare Ionio. In genere i metodi di produzione prevedono una accurata selezione delle uve, fatte macerare e fermentare in vasche di acciaio, ben accompagnando il prodotto carni grasse e selvaggine (per le tipologie rosso/rosato), ovvero antipasti, formaggi freschi e piatti a base pesce.(la tipologia bianco).
E nella Piana di Sibari trova culla anche un altro vinello interessante, l’Igt Calabria, la cui produzione si caratterizza in tutta la regione, ma che in zona acquisisce un sapore ed una connotazione unica. Le tipologie rosso/rosato in genere provengono da vitigno magliocco canno, calabrese (nero d’Avola), greco nero; con vinificazione prevista nella modalità fermentazione sulle bucce, suggerendo l’accostamento a pietanze tipiche della regione, con il suo colore rosso intenso, il profumo caratterizzato da sentori di frutta, il suo sapore pronunciato e pieno. Con i suoi 12/13° si consiglia venga servito ad una temperatura di 17/18 gradi. La tipologia bianco proviene da malvasia bianca, greco bianco; con vinificazione prevista nella modalità fermentazione del mosto in bianco a temperatura controllata; si accompagna bene ad antipasti e secondi delicati, col suo colore giallo dorato, il suo profumo delicato e fruttato, il suo sapore asciutto ed armonico. Con i suoi 12/13° si consiglia sia servito ad una temperatura di 10/12 gradi.
Che tali presupposti e tale voglia di affermazione siano di buon auspicio per far conoscere oltre regione vini di buona qualità, rispettati e quasi venerati in loco, visto che non pochi sono i paesi e le contrade presso le quali la produzione vinicola è accompagnata da sagre e manifestazioni enogastronomiche di particolare importanza che si tengono già dal mese di novembre, sotto il proverbio che “per S. Martino ogni mosto è vino”. C’è solo da augurarsi che le giovani generazioni apprezzino e imparino ad amare maggiormente la terra, che in passato valeva molto se lavorata a vigneto, avvalendosi delle più moderne ed evolute tecniche di produzione.
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