Trovare tra i documenti di un lontano ma anche recente passato, una bibliografia di riferimento avente come soggetto il significato del colore nella storia, è un’impresa piuttosto ardua. Per decenni, infatti, le opere dedicate a questo argomento sono state abbastanza infrequenti. Molti autori hanno cercato di districarsi tra spazio e tempo alla ricerca di idee e concetti universali da adattare al colore.
Altri, come gli storici, hanno taciuto frequentemente questo tema. Il loro silenzio è stato accompagnato, se non addirittura dettato, da ragioni e problemi che traggono origine direttamente nel loro campo d’indagine. Innanzi tutto, i colori non sono passati alla storia nelle condizioni in cui sono stati concepiti. I fattori di illuminazione per un osservatore di oggi sono sicuramente diversi rispetto a quelli in cui un qualsiasi elemento cromatico ha avuto origine. A ciò deve aggiungersi anche il fatto che, qualsiasi esso sia, un oggetto colorato non può essere passato in rassegna attraverso definizioni, concezioni e classificazioni del colore in base alla logica dei nostri giorni.
La disciplina che si occupa del fatto cromatico, pur avendo origini lontane nel tempo, ha raggiunto risultati concreti e più specificatamente scientifici solo negli ultimi secoli con la conseguenza di aver modificato l’approccio dell’uomo moderno al colore.
Un arcaico tentativo dello studio del colore compare nei trattati scientifici dell’antichità classica in cui miseri discorsi sulla visione del colore sono inseriti nell’analisi di altri temi quali: fisica della luce, problemi di ottica e meccanismi generali della vista o delle malattie tipiche dell’occhio.
Le teorie sulla visione del colore affondavano le loro radici nelle antiche filosofie di Pitagora, Epicuro, Platone ed Aristotele che indubbiamente sono stati i progenitori di tutte le correnti di pensiero intorno a questo argomento.
Per molto tempo si sono opposte tre tendenze. Da una parte si poneva chi sosteneva che alcuni raggi uscenti dagli occhi andavano alla ricerca della sostanza e delle “qualità” degli oggetti visibili tra cui il colore. Un’altra tendenza affermava, invece, che erano i corpi ad emettere quei raggi di cui erano a conoscenza anche i sostenitori della teoria precedente e che, emanati dalla materia essi, colpivano direttamente l’occhio umano. Infine, comparve intorno al IV-III secolo una successiva teoria a metà strada tra le precedenti e discendente dalla filosofia di Platone. Essa sosteneva che la visione del colore era il frutto dell’incontro tra un fuoco visivo proveniente dall’occhio ed i raggi emessi dai corpi. La percezione del colore avveniva in base alle maggiori o minori dimensioni delle particelle del fuoco rispetto a quelle derivanti dai raggi emessi dai corpi. Un’azione fortemente dinamica risultante quindi dall’interazione tra le due sorgenti. Sarà questa teoria, ad essere la più accreditata fino all’alba dei tempi moderni, nonostante i tentativi di miglioramento avanzati da Aristotele che rimarranno, in ogni modo, pressoché ignorati.
I testi scientifici e filosofici considerati fin ora partono dal comune presupposto che affinché possa presentarsi il fenomeno colore, è necessaria la presenza di una luce, di un oggetto sul quale essa possa cadere ed infine di uno sguardo avente all’occorrenza funzione di ricettore o di sorgente. Sembrano inoltre ammettere che se nessuno guarda un colore, significa che esso non esiste contribuendo così ad attribuire al colore una valenza “antropologica” .
È proprio questa la base per qualunque studioso che voglia avvicinarsi oggi all’importanza ed al significato attribuito al colore durante i secoli. In questo caso, partendo dall’affermazione che il fenomeno cromatico è un’elaborazione dalla mente umana la quale, attraverso gli stimoli che dall’esterno vanno a colpire coni e bastoncelli situati sulla retina di ogni individuo, ne fornisce una definizione e classificazione, è possibile dedurre che si tratti di un’azione di tipo soggettivo. Inoltre vivendo un soggetto nella società, di cui ne rappresenta un prodotto, anche il colore è un fenomeno sociale imprescindibilmente legato alla storia di una determinata comunità.
In questo circoscritto campo d’indagine, partire dal presupposto che il colore è un fenomeno oggettivo equivarrebbe a commettere un errore madornale. Come per lo studio della semantica del linguaggio è importante considerare il fattore sociale e storico, allo stesso modo, per inquadrare il significato del colore, occorre guardare con attenzione all’universo delle singole società che ci hanno preceduto tendendo conto di: lessico, chimica dei pigmenti e tecniche di tintura, sistema dei vestimenti e i codici che essi sottintendono, il posto dei colori nella vita quotidiana e nella cultura materiale, le regole emanate dalle autorità e soprattutto dalla chiesa ed infine le creazioni degli artisti .
Il contributo maggiore all’attività di ricerca sullo studio del colore è stato fornito dallo studio del lessico. Approfondendo la storia delle parole, ed indagando i codici, le pratiche e i sistemi generati da mutamenti, innovazioni o fusioni avvenuti nel corso degli anni, è stato possibile dedurre come la funzione primaria del colore è quella di classificare, marcare, associare ed opporre.
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