Utopsia si propone di fare l’autopsia all’utopia.
Utopsiare, giustappunto. Riscattarsi dall’omologazione imperversante. Sul versante dell’impervio ipotizzare discese libere di fagocitante meraviglia.
Escogita salvifiche risoluzioni al regresso antropologico in atto: Sovvertire l’ovvio e parlare d’altro.
Utopsia è un inno alla disfatta, apologia del cedimento. Inneggiare, disfarsi, cedere: innamorarsi. La scrittura consegna al lettore pagine convulse, pirotecniche, fasidiosamente eccessive. C’è una volontà antiaccademica evidente e, soprattutto, una ricerca virtuosa nei meandri tenebrosi della nostra vituperata lingua italiana. Il tono vagamente grottesco e disincantato dell’autore s’affina in riverberi dialogici d’illuminante sottigliezza e dispiega digressioni di lucida sragionevolezza sociologica. E’ un libro atipico, importuno, non conforme.
Deflagra, dirompe, scuote. Impone riflessione arguta e sgomina alternative di surreale divertimento. Un giovane osserva il suo tempo ed anela ad una palingenesi collettiva.
L’utopsico non è un prototipo d’idealista illuso. Non crede sia possibile un rinnovamento etico ma conduce la sua esistenza perseguendolo. Questo lo educa alla condivisione, alla tolleranza, alla bellezza. Varia umanità attraversa le pagine di questo libro assolutamente ostile a qualsiasi generalizzazione stilistica: esseri caricaturali, inariditi, meschinamente vili. Una feritoia opalina soccorre opportunamente il saliscendi desolato dell’io narrante ed è la silenziosa musa cospiratrice che s’invischia come presenza muta negli affanni narrativi dello scrittore. Lei, per la quale ogni impresa non è vana e che giustifica le decelebrazioni indignate del bizzarro cantastorie protagonista. Non solo le giustifica ma le sublima.
Avversione dell’asserzione.
Asserzione dell’avversione.
Detenzione che sprigiona.
Sragionamenti IPER-uranici.
IPER-marcato.
L’autore imperversa con architetture lessicali suggestive, conia nuovi vocaboli, invade territori grammaticalmente paludosi. Utopsia è un impetuoso multiloquio dove l’indignazione desolata si traduce in lapilli d’abbandoni rabbiosi e nella avveniristica edificazione eversiva d’una mirabolante fuga verso un Altrove verosimilmente incantevole.
"Soffri, campa arrancando, goditi fincè ce n’è la tua onestà, non essere ambizioso,rimani appeso alla vita, non costruire intorno a te illusorie e cangianti realtà…Istruiitevi, amate, parlate d’altro." Questo è il consiglio di Mister Pott, il bizzarro vecchio, nume tutelare dell’opera intera. Perfetta sintesi della pervicace volontà utopsica di non arrendersi all’evidenza ma, invece, evidenziare la resa.
Si tratta di un non-romanzo difficilmente codificabile. Presenta bagliori d’imperiosa grazia letteraria e sviscera, attraverso andirivieni repentini di giochi di parole enigmatici, nuove frontiere libere dal tedioso quotidiano sopravvivere.
Luoghi immaginifici dove respirare non è sempre sinonimo di affannarsi ma, piuttosto, di sospirare.
Cercatelo e abbiatene cura.
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