Cinema

Recensione del film “Tony Manero”

Raul Peralta è un uomo di cinquant’anni che, alla fine degli anni Settanta in piena dittatura di Pinochet, ha un unico scopo nella vita: ballare come Tony Manero, il personaggio impersonato da John Travolta ne La Febbre del Sabato Sera.

Si reca continuamente a rivedere il film in una sala di Santiago, ripetendo le battute e gli atteggiamenti del suo idolo. Senza un vero mestiere, Raul frequenta una piccola comunità di aspiranti artisti, su cui gravitano la sua amante Cony, il giovane Goyo, la procace figlia di Cony, Paulita, e la più matura Wilma, proprietaria della struttura in cui il gruppetto prova uno spettacolo basato sul film.

Dopo varie vicende, anche drammatiche, Raul parteciperà ad uno show televisivo come aspirante sosia di Tony Manero.

L’esito non sarà proprio quello sperato.

È un film durissimo questo Tony Manero, passato a Cannes e in concorso al Torino Film Festival, nomination per l’Oscar. La regia non nasconde nulla, il regista Larraìn è davvero impietoso nei confronti dei personaggi. E soprattutto verso Raul (interpretato da un gigantesco Alfredo Castro), figura di disadattato ai margini della società e ai bordi della follia.

È uno sconfitto Raul, ma non è certo un buono, e lo dimostra non appena si trova a soccorrere un’anziana signora aggredita per strada. A casa di lei, la deruba del televisore a colori, che quest’ultima possiede grazie ai favori del regime. Nonostante questo, Raul sembra però privo di una vera coscienza politica; da monomaniaco aggredisce e picchia anche il proiezionista del cinema, che ha il solo torto di aver smontato il suo film preferito, sostituendolo col mediocre Grease.

La ferocia del regime non cela infatti la mediocrità della gente, infatuata degli occhi azzurri di Pinochet, istupidita dai giochi e dai varietà televisivi, indotta a credere in infimi ideali.

È straordinario come la regia rimanga fissa sul personaggio di Raul e riesca altrettanto bene a rendere la miseria degli altri protagonisti, da Cony, preoccupata di perdere il suo amante (ormai tanto calato nella sua “febbre” per Manero da non desiderarla nemmeno più: e la sequenza – hard – in cui lei si lamenta della sua impotenza amorosa è quantomeno indicativa) a Paulita, che provoca sessualmente il protagonista per poi finire a masturbarsi quando lo stesso tenta di prenderla con foga. Larraìn procede con mano fermissima, accumula situazioni e dettagli scabrosi, dipinge un quadro cupissimo, sorprende fin dal primo scoppio di collera del suo protagonista, narciso invidioso capace di arrivare a defecare sul vestito bianco con cui Goyo vorrebbe partecipare al concorso per eleggere il sosia di Travolta.

Travolge e coinvolge un intero popolo e un intero paese, la denuncia del regista, circostanziata senza essere esplicitamente politica; ma ha anche l’abilità di chiudere con un’ellissi quando – lo spettatore lo intuisce – Raul si siede in fondo all’autobus che lo riporta a casa pronto a colpire chi gli ha negato la gioia d’essere tale e quale il suo idolo (in un programma volgare che ricorda molto la nostra Corrida).

Fa inorridire Tony Manero, e fa anche vergognare e indignare, non appena si pensi a quanto sia invero realistico e capace di mettere a nudo la sconvolgente stupidità dei tempi e la marcescenza delle relazioni umane, nascosta da ideali buonisti e da visioni ottimiste della società.

Una discesa agli inferi di profonda attualità (benché la vicenda sia ambientata giusto trent’anni fa, nel 1978), che farà meditare anche gli spettatori italiani.

Sperando che la censura non si accanisca sul film, forse troppo lucido per essere accettato facilmente nel nostro pavido paese.

No Comments Found

Leave a Reply