C’è una domanda che, a sentirla, probabilmente ci sembra molto sciocca; e a rifletterci un po’ di più, al limite, può farci venire in mente di essere semplicemente una provocazione, perchè lo stesso fatto di porla sembra voler mettere in discussione, o addirittura in dubbio, principi molto saldi e importanti della nostra cultura. Stiamo parlando dell’idea stessa di vita civile, di risorse comuni, di democrazia. La domanda ha a che vedere con gli edifici pubblici, con le strutture statali, perfino con le strade – tutte misure della nostra civiltà e della nostra democrazia.
La domanda è “Di chi è il mondo?”, e vorremmo poter rispondere “Di tutti”.
Purtroppo, come per molte domande che sono solo apparentemente ovvie, la risposta che vorremmo non è quella che
possiamo dare; non, perlomeno, se siamo sinceri e spassionati nell’osservare prima, e attentamente, il mondo reale che ci circonda. La vera risposta ci lascerà probabilmente un o’ scoraggiati e insicuri, perchè ci troveremo costretti ad ammettere che in realtà il mondo, quel mondo che vorremmo definire “comune”, appartiene ed è fatto in pratica soltanto per chi è sano, è giovane, non presenta alcun tipo di handicap. Per gli altri, per chi è anziano e ha perso le forze, per chi ha problemi sensoriali, per chi per qualche genere di handicap non ha più autonomia motoria, quello stesso mondo a cui hanno tutti pieno diritto è costellato di ostacoli e di barriere. E di abbattimento barriere architettoniche è giusto parlare, come un esempio lampante di un problema con tante sfaccettature.
Partiamo, come è buona norma fare di fronte ad un problema complesso, dal comprenderlo: per abbattere le barriere architettoniche dobbiamo sapere cosa siano in effetti. Esiste, per fortuna, una definizione molto chiara e comprensibile di questo termine, che ci insegna che “una barriera architettonica è qualsiasi elemento costruttivo che impedisca, limiti o renda difficoltosi gli spostamenti o la fruizione di servizi”. Purtroppo, tuttavia, la definizione non fa molto per darci la prospettiva necessaria per trovare tali ostacoli, se ragioniamo come persone che camminano speditamente, hanno buona vista, e sono sane e in forze. Se invece immaginiamo di muoverci nel mondo senza poter vedere, o seduti su una sedia a rotelle, le cose cambiano immediatamente, e scopriamo tante cose – una semplicissima scala di tre gradini, una rampa ripida, un bancone troppo alto – che diventano barriere insormontabili.
E perchè tutto questo? per un motivo semplicissimo: il problema della barriera architettonica non sta negli oggetti in sè. Non è la scala, o la rampa, ad essere un elemento sbagliato; è il fatto che debba fruirne anche chi presenta un eventuale handicap a trasformarle in un ostacolo spesso insormontabile. Per questo non è semplice e immediato come vorremmo identificare il problema e risolverlo: non esistono semplici liste di elementi da eliminare o evitare. Anche un bancone troppo alto è una barriera alla comunicazione con chi vi lavora dietro, se si è seduti su una sedia a rotelle. Lo sforzo da fare dunque – ed è uno sforzo di grande civiltà – è uno sforzo mentale e culturale, una continua riflessione su come rendere luoghi e servizi accessibili con vera facilità davvero da tutti, quali che possano essere le loro particolari condizioni di salute e di abilità.
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