Galleria Embrice – Roma, Via delle Sette Chiese, 78 – Tel. 06.64521396 – www.embrice.com
VITTORIO GIUSEPPONI: “MALEDUCATA PER DEFINIZIONE”.
A cura di Paolo Balmas
Coordinamento di Carla Corrado e Gianluca de Laurentiis
Inaugurazione: venerdì 16 ottobre 2009, ore 18.00 – 22.00
Da venerdì 16 ottobre 2009 – a venerdì 31 ottobre 2009. Orario: 18 – 20, chiuso la domenica.
La galleria Embrice apre la stagione 2009/2010 il prossimo venerdì 16 ottobre con una personale di Vittorio Giusepponi.
Nato ad Offagna in provincia di Ancona nel 1950 e da anni a Roma, Vittorio Giusepponi si è confrontato, nei suoi cicli di lavoro, con la materia nelle sue diverse accezioni: legno, marmo, carta, vetro. In quest’occasione ci propone l’esperienza con la materia nella sua progressione da argilla a ceramica: un’ulteriore tappa del suo essere scultore. Perché “fare lo scultore vuol dire lavorare con la materia, e lavorare con la materia vuol dire imparare che la materia è maleducata per definizione. O fai ciò che lei vuole sia fatto o non sarai mai un artista. Non farai mai qualcosa di vivo.”
È d’altra parte lui stesso ad ammettere – in senso programmatico – che è il confronto con la materia a determinare dalle fondamenta il suo essere scultore: “Nella scultura, è il materiale che ti sceglie, che determina che tipo di artista sarai, cosa esprimerai di te stesso. La statua di legno, oppure di marmo, si carica. Prende dall’universo la sua energia. Non è un miracolo, ma un potere, un potere quasi incredibile, ma assolutamente reale. È un po’ come per l’albero che prende diverse sostanze dalla terra e poi dà frutti, frutti che si aprono sull’esterno incidendo sulla nostra vita dal punto di vista della qualità. Un’opera di scultura, svolge questo compito continuamente.
L’opera sa come gestire il suo apparire, siamo noi che non lo sappiamo e dobbiamo impararlo.
Noi non sappiamo sempre come reagire ai cambiamenti atmosferici, a volte il sole ci da fastidio, a volte se piove ci mettiamo a piangere. L’opera non piange, a meno che non sia una fontana o che non sia la tradizione popolare volerla veder piangere.”
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