Se hai meno di 66 mila euro l’anno, non puoi fare un mutuo agevolato, né, spesso, riesci a pagare un affitto. Se non fai parte delle categorie previste, non puoi entrare in graduatoria per la casa popolare. Se ne fai parte, forse, dovrai accettare un appartamento fuori città. L’alternativa, oggi, si chiama autorecupero. Almeno a Roma, dove l’applicazione di una legge regionale del’98 ha permesso di trasformare tredici palazzi di proprietà pubblica, tutti occupati da chi non aveva alternative, in altrettanti cantieri di ristrutturazione. A spese del Comune per gli esterni, e per gli interni della cooperativa formata dagli abusivi, diventati legittimi inquilini per cifre fra i 150 e 300 euro al mese. Mentre la casa resta di proprietà dell’ente pubblico e dopo una generazione può essere assegnata ad altri. Il futuro è nel quattordicesimo indirizzo, quartiere Tufello: edificio vuoto e da non occupare, ma da chiedere come cooperativa di autorecupero.L’intero esperimento romano, una volta portato a termine, darà un tetto a 250 mila famiglie. Poche, ma il metodo è così interessante da aver fatto incuriosire studiosi della materia anche in Europa. Infatti questo esperimento mostra come risolvere problemi comuni alle metropoli occidentali: disagi sociopolitici (dialogando con le tensioni cittadine, urbanistici e sfruttando edifici vuoti che nella capitale, gli addetti ai lavori, ne stimano almeno 50mila) ed ecologici sia ristrutturando con criteri di bioarchitettura sia diminuendo man mano la costruzione di nuove case popolari. Nel frattempo, il ministero della Solidarietà sociale sta pensando a una legge nazionale.
Ci sarà una legge per tutta l’Italia?
In Italia servono case a prezzi accessibili per chi ha redditi medio-bassi e serve agire contro la disgregazione sociale in cui viviamo favorendo anche i progetti multietnici. Autorecupero e autocostruzione sono delle buone risposte a questi problemi. Nelle città grandi può essere più utile il primo strumento, dato che il numero degli alloggi inutilizzati è costantemente superiore a quello delle famiglie in graduatoria per le case popolari. In più, l’autorecupero evita di consumare altro territorio e fa rivivere case vuote, degradate. Nei centri piccoli e medi, dove non c’è questo fenomeno, è più utile puntare sull’auto costruzione. Come è più utile far progettare ai rom le case in cui dovranno vivere, piuttosto che sistemarli in maniera forzosa, e da loro non condivisa, in case alveare.
In giugno 2007, al ministero ha preso il via un tavolo di lavoro informale che sta valutando le varie esperienze fatte, alcune basate su una legge regionale, come quella sull’autorecupero del Lazio o quella sull’autocosruzione dell’Umbria, altre, come in Emilia, realizzate senza copertura legislativa.
Si tratterà di vedere, entro l’estate, se per ottenere uno strumento sicuro e rapido da usare sarà meglio varare una legge nazionale o sostenere un’apposita serie di leggi regionali. Bisognerà anche intervenire sui rischi d’infortunio e le eventuali modifiche delle normative sulla sicurezza per tutelare il futuro inquilino e permettergli al tempo stesso di lavorare alla ristrutturazione o alla costruzione.
Tutto ciò deve essere sostenuto con adeguate risorse. Lo stanziamento per l’inclusione sociale e abitativa degli immigrati prevede già 150 milioni in tre anni. Inoltre, si sta predisponendo un provvedimento che dovrebbe essere finanziato con circa 500-600 milioni dell’extragettito e che riguarda la ristrutturazione degli alloggi pubblici sfitti e inagibili. Altri 350 milioni dovrebbero finanziare ulteriori contratti di quartiere.
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