La rickettsiosi può essere definita come una malattia esantematica ingenerata dalle rickettsie, che sono piccoli bacilli gram negativi. Il termine rickettsiosi si riferisce a diverse infezioni, in base al microbo responsabile, che viene trasmesso all’uomo attraverso i morsi di zecca o di altri insetti, quali gli acari, i pidocchi e le pulci. La zecca è il principale deposito dell’infezione e funge da vettore della c.d. “febbre purpurea delle montagne rocciose”, causata da Rickettsia rickettsii, e della “febbre bottonosa”, la più diffusa nel Bacino del Mediterraneo, causata da Rickettsia conorii. La zecca può passare la malattia ad altri animali che vivono allo stato brado, o domestici come il cane, e direttamente all’uomo. Il ratto è, invece, il serbatoio della Rickettsia typhi, che viene contagiata dalle pulci e causa il tifo murino, o tifo petecchiale. I pidocchi (Pediculus humanus corporis) trasmettono la Rickettsia prowazeki, colpevole del tifo epidemico. Dopo un periodo d’incubazione di durata pari a circa 7 giorni si manifestano febbre elevata, indisposizione e forte cefalea. L’esantema appare 2-3 giorni più tardi, con macchie che poi si tramutano in petecchie; inizia da caviglie e polsi, poi si estende al tronco e alle aree palmo-plantari. Sono in grado di manifestarsi anche nausea e vomito, unitamente a una vasculite sottostante. La situazione infettiva, sanabile, può acuirsi in seguito all’insorgere di molteplici complicanze connesse alla vasculite. La diagnosi è clinica e non può trascurare una storia di morso di zecca o di altri insetti e dall’epidemiologia dell’area geografica: se è una zona dove sono diffuse le rickettsie il sospetto è legittimo. La diagnosi può essere facilitata dalla manifestazione di una caratteristica placca di tessuto alterato di colore nerastro nella sede del morso. La ricerca di anticorpi su campioni ematici in laboratorio può offrire conferma dell’infezione, abbastanza tardiva però. La prognosi è buona se la diagnosi è tempestiva, in mancanza dell’esantema ciò è più difficile e l’infezione può essere fatale. La terapia antibiotica con tetracicline o cloramfenicolo per almeno una settimana è generalmente sufficiente per ottenere la guarigione.
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