Medicina

La rabbia

La rabbia può essere definita come una nevrassite, cioè una seria infezione del sistema nervoso, che trae origine da un virus appartenente alla famiglia Rhabdoviridae, genere Lyssavirus, con esiti quasi sempre fatali. La patologia affligge specialmente gli animali che però possono contagiare anche l’uomo. Il virus colpisce tipicamente le strutture nervose per poi spargersi lungo il sistema autonomo a tutti gli organi e, difatti, si può trovare anche nella saliva da dove origina l’infezione, per morsicatura, graffio o tocco della cute lesa da parte di una bestia infetta. Gli animali più colpiti dal virus della rabbia sono quelli selvatici: volpi, tassi, mustelidi in Europa settentrionale e centrale; topi, scoiattoli, ratti in Europa meridionale; pipistrelli negli Stati Uniti; tuttavia possono venire infettati anche gatti, cani e furetti domestici. Per fortuna l’infezione ha un periodo di incubazione piuttosto lungo, mediamente 1 mese, che permette di intervenire prima che il virus si trasmetta nel sistema nervoso. Successivamente, quando compaiono i sintomi sotto menzionati, non è possibile arrestare il decorso della malattia. Si riconosce un primo stadio prodromico, con manifestazioni aspecifiche quali febbre elevata, cefalea, anoressia, nausea, mialgia, tosse non produttiva; più importanti le parestesie nel sito d’inoculazione, caratterizzate da dolore, prurigine e irritazione. Questa fase dura 1-2 giorni. Comincia poi la fase irritativa (furiosa), di eccitazione, con segni e sintomi tipici delle encefaliti di origine virale: spasmi laringotracheali, ipertoniamuscolare, incoordinazione della muscolatura estrinseca degli occhi, rachialgie. Alterazioni psichiche. Infine decesso per insufficienza respiratoria o arresto cardiaco. Indispensabile per destare il sospetto è la collazione dell’anamnesi con analisi di eventuali lesioni o morsicature, o contatti con animali possibilmente infetti. La diagnosi, formulata con diverse metodiche di laboratorio che consentono di isolare il virus, è possibile ma purtroppo tardiva per l’uomo. Nei casi a rischio la procedura prevede di identificare l’animale che ha assalito l’uomo, confermare o eliminare la diagnosi sull’animale, anche post mortem con esame istopatologico dell’encefalo, e nel caso sia avviare prontamente la profilassi. La profilassi post contagio prevede di somministrare, il prima possibile dopo il contatto a rischio, un siero antirabbico, costituito da immunoglobuline specifiche umane o di cavallo, e il vaccino anti rabbia. Il duplice trattamento è reso inevitabile dalla pericolosità dell’infezione e dal fatto che, comunque, la reazione spontanea al vaccino richiede almeno quindici giorni di tempo per la formazione di anticorpi efficaci. Gli individui a rischio possono premunirsi in anticipo, ciononostante in caso di morso di un animale ammorbato si procede al richiamo del vaccino, con nuove dosi, e alla verifica del titolo anticorpale.

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