Il libro si apre suscitando una divertita tenerezza nei confronti del protagonista/scrittore che, con docile timidezza, si spinge persino a chiedere al grande Borges di custodire i suoi racconti nella famosa biblioteca di Babele, che contiene i grandi capolavori della letteratura mondiale. Un piccolo scrittore si appresta, così, a compiere una sorta di viaggio dantesco, con tanto di guide al seguito, alla ricerca di una risposta: sapere se è degno di essere annoverato tra gli scrittori, se ha la fortuna e la bravura di poter affidare le sue storie all’eternità.
In realtà, il nostro scrittore sembra già convinto di meritare questo onore, ma ciò non deve farlo apparire sotto una veste di falsa modestia, semmai sotto quella di sognatore, che vive di sogni, che ne partorisce a decine. Ha un atteggiamento di sincero e genuino compiacimento, proprio di chi è consapevole di aver scritto qualcosa “che sa di buono”. E, infatti, si ha l’impressione che tale atteggiamento appartenga anche a molti dei protagonisti dei racconti: un umile pescatore che sfida un drago marino, una sentinella che da lezioni di vita al suo comandante, un sindacalista che vuole cambiare il mondo, un ragazzino che va alla ricerca di una principessa, un asino che riesce nell’intento di volare. Infonde speranza questo libro. I discorsi dei personaggi sono scorrevoli e immediati, tutto appare vivo e fluente come una giostra variopinta che gira nella mente. A parlare è la gente umile dal cuore grande, per lo più paesani plasmati dalla loro terra, quella Sicilia dal sapore antico, pregna di odori e sapori, che s’interroga sui grandi temi della vita: il destino, la morte, la fede, la famiglia. Forse si rischia di cadere nella banalizzazione di alcuni luoghi comuni, ma ciò potrebbe accadere se si considerassero i personaggi, portatori di insegnamenti, come soltanto persone di cuore, quando invece sono di testa e di cuore. Hanno fragilità e consapevolezza, quindi forza. Sono un coro di voci che cantano un’unica melodia. Alcuni nomi ritornano in diversi racconti, perché fanno parte di un’unica realtà, una Sicilia che sembra quella del siracusano ma che ha tratti indistinti, un po’ reali e un po’ irreali, come i racconti, com’è nell’intento dell’autore del libro:<< I miei voli, le mie estatiche fantasie si mescolavano alla realtà dei sogni, legandosi e tenendosi l’un l’altro, come nelle fiabe… Questo è il mondo delle illusioni, fittizio, anche se fortemente verosimile>>.
Si ha l’impressione che l’atmosfera di sogno voglia proteggere la Sicilia da una realtà tralignata, omologata e senza speranza, per restituirla al lettore più limpida. Forse l’autore ci invita a togliere i paletti che ci sono tra realtà e finzione, per ricostruire un mondo più reale da un mondo finto.
Il libro si conclude con l’invito di Borges a salire in groppa a un asino volante: un pensiero ardito, un invito che può essere accettato solo da chi si lascia incantare da una Sicilia tanto fantastica quanto reale, da chi ha la forza di restare lucido in un tempo avvolto in un’aura di sogno e magia.
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