Oggi in Italia si parla molto di ecommerce b2c (business to consumer), cioè orientati alla vendita a consumatori e non al commercio tra aziende (b2b – business to business).
I motivi sono tanti ma il principale è sicuramente la posizione di arretratezza del nostro paese rispetto alle altre realtà Europee. L’obiettivo del precedente governo (quello guidato da Monti) era quello di portare entro il 2015 l’Italia ad un utilizzo degli ecommerce b2c almeno del 50%, oggi è circa il 35%. L’attuale governo sta portando avanti questo obiettivo e sta incentivando le aziende ad aprire i propri ecommerce b2c. Ad esempio la Camera di Commercio di Milano ha indetto un bando che ha scadenza 20 settembre 2013 per la digitalizzazione delle imprese in cui viene offerto un contributo del 50% a fondo perduto ad aziende che decidano di portare la loro realtà commerciale su internet e a società IT che abbiano idee innovative nel settore digitale.
L’iniziativa è lodevole, soprattutto in un momento di crisi come questa, e sta spingendo tante realtà ad orientarsi verso l’ecommerce b2c. C’è però un problema: il fatto di non avere spese di locazione, di personale e, in alcuni casi, neanche quelle di magazzino spinge a fare delle analisi superficiali al momento dello start up. L’idea delle aziende è quella che basta essere online per vendere di più e in tutto il mondo. Purtroppo non è così. Realizzare un ecommerce online b2c richiede lo stesso impegno iniziale di una qualsiasi altra attività, anche se con modalità differenti.
Il consiglio è quello di creare un accurato business plan dove si definisce chiaramente quale è il prodotto e quali sono i punti di forza e debolezza. La realtà di tutti i giorni ci insegna che se un’azienda ha un buon prodotto è più facile che il cliente lo compri e che resti affezionato alla marca. Questo è un argomento molto importante perché, come per la vendita tradizionale, la fedeltà e quindi il passaparola che ne deriva, è fondamentale per far funzionare un ecommerce b2c. I social Network hanno “alzato il volume” di questi messaggi, ampliando la possibilità di diffondere il proprio apprezzamento per un prodotto o un servizio a tutta la cerchia dei propri amici. Ma il rovescio della medaglia è che hanno anche aumentato la possibilità di critica, quindi le aziende devono cambiare attitudine nei confronti del proprio business e dei propri clienti. Soprattutto gli ecommerce b2c devono aprire un canale diretto con i propri clienti, facendoli partecipare alla creazione dei propri prodotti e essendo disposti anche a subire critiche, che devono essere prese come dei suggerimenti a migliorare e a far crescere il proprio business.
Il secondo passo nella pianificazione dell’ecommerce b2c è quello dell’analisi dei competitors. E’ molto importante capire quali realtà ci sono e come sono percepite dai clienti di quel settore. Questa analisi che per l’apertura di un’attività fisica richiedeva poco tempo (un giro nella zona e due chiacchere con i negozianti storici) su internet è molto complessa. Non solo bisogna valutare quali sono i competitors diretti (quelli che fanno gli stessi prodotti) ma anche come e cosa fanno per promuovere la propria attività quali iniziative marketing portano avanti, come si comportano nei social network. Il tutto in una dimensione globale o ,a causa del costo delle spese di spedizione, almeno europea. Bisogna vedere se il prodotto esiste già, quale è il suo prezzo, quali sono i principali ecommerce b2c che vendono quel determinato prodotto e molte altre informazioni. Spesso capita che le aziende guardino solo competitors di pari dimensioni alle loro, ma su internet non funziona in questo modo. Amazon e Zalando diventano competitors del piccolo negozio che vende scarpe perché è un articolo che vendono anche loro e con una visibilità enorme. Questo è il punto chiave degli ecommerce b2c. Come i centri commerciali e le grosse catene stanno pian piano facendo chiudere i negozi a gestione familiare, così le grosse multinazionali hanno maggiore visibilità sul web e “oscurano” tanti altri ecommerce. Con oscurano intendiamo dire che sono prime nei motori di ricerca, nelle pubblicità di Facebook, nei banner promozionali e in tutte le forme di pubblicità online.
E allora cosa devono fare le piccole attività che vogliono fare un ecommerce per incrementare le proprie vendite?
Primo fra tutto, affidarsi ad una società seria per la realizzazione dell’ecommerce b2c. Internet non è un “gioco da ragazzi”, oggi è un lavoro serio. Non si può fare affidamento a persone improvvisate, o meglio si può però si è quasi sicuri (e diciamo quasi per non essere troppo drastici) che l’ecommerce b2c non venderà. L’esperienza su internet e la conoscenza dei comportamenti del cliente sono fondamentali per la buona riuscita di un ecommerce. Creare una user experience (esperienza di navigazione) positiva è alla base della finalizzazione dell’acquisto e fidelizzazione del cliente. E’ un po’ come quando si entra in un supermercato nuovo, se si riescono a trovare i prodotti subito e sono ben presentati è probabile che uno ci torni, se si trovano corsie strette, non si trova niente e si è costretti a far più volte il giro del negozio per rintracciare la merce ricercata probabilmente si comprerà una volta e inoltre se ne parlerà anche male con gli amici.
Secondo aspetto sono gli investimenti pubblicitari, che spesso devono vedere un badget superiore a quello della creazione dell’ecommerce. Ebbene si, perché il vero lavoro dell’agenzia (e anche la bravura e l’esperienza) si vedono una volta che l’ecommerce b2c è online. E’ in quel momento che vanno fatte le campagne adWords per far trovare il negozio dai clienti e la social strategy per affiliare gli amici.
Vendere online è possibile ma come con tutto bisogna impegnarsi, pianificare e affidarsi a persone competenti.
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