Sapere e sapore sono termini provenienti dalla stessa radice. Ogni essere, all’inizio della propria esistenza, ne dà conferma: il neonato per conoscere assaggia. Nel sapore delle cose è contenuta e rivelata la verità, l’essenza. Il gusto conosce più del tatto e della parola perché non ha il dualismo della separazione, né i limiti della spiegazione – sapreste spiegare il sapore di una fragola?
Il gusto attua l’identità, non a caso si dice “siamo ciò che mangiamo”, ma è più esatto dire siamo ciò che assimiliamo, perché diventiamo simili solo a ciò entra a far parte del nostro corpo, formando un’unità.
L’evoluzione ha generato un sistema di vita sofisticato, in cui sapori e saperi sono stati modificati da continue trasformazioni. Lo zucchero, come il sale, altera e involgarisce la vita con effetti piacevoli, ma a lungo andare nocivi per la salute fisica, e forse peggiori per quella psichica. Lo stato di avanzamento di questo processo è ormai tale che diventa utopico tentare una restaurazione dei “Sapori”. È un ritorno più impossibile che difficile, il tempo conosce una sola direzione e non ha la retromarcia.
Nel nostro tempo resta comunque doveroso provare a recuperare e conservare la conoscenza del sapore in un cammino che va compiuto per gradi. Non è pensabile di poter cancellare lo zucchero dalle nostre credenze, ma possiamo limitarne l’uso, rieducandoci alla naturale dolcezza della vita.
I dolcificanti appartengono alla sfera del superfluo. Può essere ridotta, un cucchiaino alla volta, usando le soluzioni meno tossiche fino a quando, si spera, non ne avremo più bisogno. Questa è la nostra missione: ritrovare il gusto di una dolcezza responsabile.
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