I bagni dei cagliaritani un secolo fa
I cagliaritani di un secolo fa facevano i bagni alla spiaggia de La Plaia. C’era una netta divisione per censo. Nei pressi del ponte della Scaffa c’erano i bagni Devoto, ovvero la spiaggia dei signori, una struttura balneare creata da Gerolamo e Giuseppe Devoto. La classe media si dava appuntamento in spiaggia a Giorgino, con gli impianti messi su da Vincenzo Soro e i poveri si accontentavano di Sa Perdixedda , ribattezzata “is bagnus de soddu”. Per fare un tuffo bisognava attraversare a piedi nudi un acciottolato. Nel 1908 cessarono i bagni Devoto, pochi anni dopo Sa Perdixedda, mentre Giorgino continuava a essere meta dei bagnanti fino agli anni ’20, quando la spiaggia del Poetto era già meta di bagnanti.
I tesori dei fondali sardi
“Loredan”, “Entella”, “Isonzo”, “Romagna”. Alla stragrande maggioranza questi nomi non dicono nulla, solo per i fortunati sopravvissuti e i testimoni oculari hanno un significato che vale il ricordo di momenti drammatici. Hanno quasi l’aspetto di imponenti sculture quelle navi che da anni giacciono silenziose in fondo al mare del golfo di Cagliari. I fondali trasparenti e cristallini che circondano la Sardegna sembrano un gigantesco “museo a mare aperto” dove si può rivisitare, in un certo senso, la storia della marina. Per lo più si tratta di relitti moderni affondati durante la seconda guerra mondiale, dal sottomarino inglese “Safari” che, tra aprile e luglio del 1943, operò come un corsaro, infliggendo gravi perdite alla Marina Militare Italiana e alle navi dell’Asse. Così, nel diario di bordo redatto dal comandante del sommergibile, il Tenente Lakin descrive il drammatico affondamento delle navi italiane. “10 aprile 1943, il convoglio procede ad un’andatura di 7 nodi. Ore 17,19 lanciato il primo siluro sulla prua della nave cisterna. Ore 17,19 e 43 secondi secondo siluro. Ore 17,19 e 55 secondi terzo siluro all’altezza della pancia della nave.” All’altezza di Torre delle Stelle tutte e tre le navi, l’Isonzo, il Loredan e l’Entella, furono affondate. Il relitto di quest’ultima può essere visitato anche perché adagiato a non più di dieci metri di profondità. Gli altri invece sono meta di impegnative e affascinanti immersioni subacquee perché poggiate su un fondale compreso tra i cinquanta e i settanta metri. Oggi, quelle lamiere contorte e arrugginite, sono popolate da alghe, organismi marini e miriadi di pesci che sembra abbiano ritrovato col tempo un loro nuovo habitat e cancellato quella traccia carica di dolore.
I casotti
Davano al paesaggio un tocco di realtà metafisica, quasi fossero una riedizione dei ‘Bagni’ misteriosi di De Chirico’, scrive Gillo Dorfles nella prefazione del libro ‘la città estiva’ di Giancarlo Cao che ripercorre la storia dei casotti. Era la residenza estiva della borghesia cagliaritana. Attorno ai casotti della spiaggia del Poetto, pullulava la vita di un vero quartiere. Le forme e i colori erano il prodotto della fantasia dei loro costruttori, semplici, spartani, o a seconda della disponibilità del portafoglio frutto di bizzarrie architettoniche. I più facoltosi sfoggiavano mini-loggiati o ‘villini’ a due piani, attrezzati di tutto. Disposti su più file si intonavano bene con la spiaggia e i colori del mare. L’abitudine di trasferire tutta la famiglia ai casotti, con tanto di bagagli, pentolini, scolapasta e vettovaglie prende piede nel 1916 e, coincide con l’esodo da Giorgino, sul litorale opposto, il vecchio luogo di ritrovo della vita balneare cagliaritana. Attorno agli anni dieci al Poetto sorgono i primi impianti, frequentati da persone facoltose ma non attrezzati per ospitare la migrazione estiva della cittadinanza. Così alcuni ingegnosi artigiani copiano l’idea delle cabine degli stabilimenti ed iniziano a costruire quelle ‘mini-casette’ in legno che offrono più spazio e comodità. Con tutte quelle strisce verticali, orizzontali di colori diversi, in tinta unita, verde, azzurro, rosa, giallo e colori pastello tracciano una linea di separazione tra il bianco dell’arenile e l’azzurro del cielo. Ma se d’inverno il loro aspetto era triste e solitario, si ergevano come guardiani della spiaggia trattenendo la sabbia e formando candide dune. Oggi non rimane che un ricordo. Negli anni 80 il comune ha dato via libera alle ruspe sradicando quel pittoresco pezzo di Cagliari.
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