Nello sport così come in azienda, non si vince solo con i muscoli, ma anche e soprattutto con la testa. Sono la motivazione, la forza di volontà, la tenacia, la determinazione, che spingono un atleta ad allenarsi. E a superare – ogni giorno sempre un po’ di più – i propri limiti fisici, per ottenere una prestazione ottimale. Anche in azienda il professionista deve credere nel proprio lavoro, nell’efficacia delle sue competenze, deve sentirsi parte integrante del “sistema impresa” e deve voler crescere, per riuscire a dare sempre il massimo di sé. Dietro a tutto ciò, c’è la testa, la mente. Non per niente, l’allenamento di uno sportivo si struttura secondo tre ambiti: fisico, emozionale e mentale. E l’allenamento di un uomo d’azienda? Quanta parte occupa della giornata la fase dell’allenamento? Qui si scopre un paradosso. Il parallelismo tra il mondo sportivo e quello aziendale ha una aderenza pressoché totale per diversi aspetti. Pensiamo ad esempio al team building, alla leadership, alla gestione delle emozioni e dello stress, alla motivazione. Per quanto concerne l’allenamento invece, balza agli occhi una divergenza spaventosa. Mentre lo sportivo dedica all’allenamento almeno il 95% del tempo professionale, il dipendente di un’azienda appena l’1% della vita professionale complessiva. Ecco allora che campioni plurimedagliati, come Rossano Galtarossa, possono assumere il ruolo di coach aziendali, portare la loro esperienza di sportivi a una platea di professionisti, e attivare così i noti meccanismi del benchmarking.
Rossano Galtarossa ha indossato la maglia azzurra per 18 anni, aggiudicandosi 4 medaglie olimpiche e altre 10 ai Campionati Mondiali. E’ l’unico atleta ad aver vinto per cinque anni consecutivi il Campionato Italiano nella specialità “Singolo Senior”. Attualmente è il canottiere azzurro con il maggior numero di medaglie olimpiche e l’unico atleta padovano ad aver partecipato a cinque Olimpiadi.
Facendo riferimento alla sua esperienza personale, ci può spiegare che cosa è l’allenamento? In cosa consiste? E quanta parte del suo tempo occupa?
Per uno sportivo l’allenamento è fondamentale. Occupa il 95% del tempo riservato allo sport e si scansiona in allenamento fisico, emozionale e mentale. Ovviamente la parte più significativa è dedicata all’allenamento fisico, imprescindibile per un atleta. Così come, avere delle conoscenze e competenze tecniche, è fondamentale per il professionista. In situazioni di affaticamento il corpo risponde attivando delle spie (accelerazione del battito cardiaco, acido lattico) che mettono in allerta il soggetto che si sottopone allo stress, suggerendogli di fermarsi. Queste spie, se accese, vengono infatti percepite come indicatori di una situazione di pericolo. L’allenamento fisico serve per andare oltre il limite che il corpo erige, ogni giorno sempre un po’ di più. Abituando il corpo a spostare in avanti la percezione dell’affaticamento. E qui subentra l’allenamento emotivo, che aiuta a trovare la scintilla che spinge oltre il limite fisico. L’allenamento insegna al cervello che lo stato in cui si trova lo sportivo non è una situazione di pericolo. Si tratta di un processo difficile e doloroso, che non è possibile portare avanti se non si ha una forte spinta emotiva. Ma, se da un lato le emozioni ti spingono a dare di più, dall’altro possono ingenerare ansie in fase di gara, nelle prove finali. E qui subentra l’allenamento mentale che aiuta a vincere le paure generate dalla pressione psicologica. L’allenamento non deve mai essere “comodo”, altrimenti l’atleta involve e la regressione è dietro l’angolo. Per spingere sempre sull’acceleratore è necessario trovare uno stimolo. L’allenamento mentale serve a questo. L’atleta deve quindi porsi la domanda: “Perché lo sto facendo?” e tenere sempre a mente quale obiettivo vuole raggiungere.
L’allenamento cambia con l’approssimarsi della gara. In quale modo? Come riesce a tenere sotto controllo l’ansia e lo stress che crescono man mano che il giorno della competizione si avvicina?
Con l’avvicinarsi della gara, diminuiscono sensibilmente le ore dedicate all’allenamento fisico, per permettere al corpo, dopo ritmi estenuanti, il pieno recupero delle forze. Ho imparato sulla mia pelle, che le ore vuote che precedono le gare sono pericolosissime. La pressione psicologica sale per l’avvicinarsi della prova e la mente, non occupata dall’allenamento, batte come un tarlo sulle paure e le ansie. Per evitarlo e tenere impegnata la testa, in queste ore io mi faccio accompagnare dai libri. Leggo romanzi d’avventura e storici. Non è per nulla facile gestire le emozioni e prepararsi mentalmente alla gara. All’Olimpiade di Pechino c’erano molte aspettative su di me. E questa pressione psicologica poteva diventare dannosa. Allora ho cercato di lavorare dentro di me, per capovolgere l’ansia e trasformarla in un’emozione positiva. Mi sono detto: se l’aspettativa su di me è grande, significa che la gente è convinta che io sono in grado di ottenere un buon risultato, e crede questo perchè io effettivamente ho delle potenzialità.
E sulla “motivazione” invece, cosa ci può dire? Quale è la motivazione che la spinge a sacrificarsi in vista di un obiettivo?
Ho un carattere competitivo e trovo gratificazione nel dimostrarmi di essere bravo. Credere in sé stessi porta ad osare un po’ di più. Osando si conseguono risultati e questi ultimi a loro volta fortificano la convinzione di essere bravi. Si tratta di un circolo virtuoso. Se un atleta matura la consapevolezza di essere bravo, subito dopo se ne rendono conto anche gli altri.
Io ritengo che più è difficile l’obiettivo da raggiungere, più si trova gratificazione nel conseguirlo. Ma è anche altrettanto vero che, per lanciarsi in una impresa impegnativa, bisogna trovare una forte motivazione e gratificazione. In quel che faccio io metto passione ed esuberanza, corroborate dai risultati finora ottenuti. Ho un carattere competitivo, che mi spinge a cercare la gratificazione.
Eppure può capitare che i risultati sperati non arrivino, nonostante la forte motivazione e i sacrifici richiesti dal duro regime degli allenamenti …
Nonostante l’impegno, non è matematico arrivare infatti! Capita spesso che equipaggi che si sono qualificati primi, poi in gara non salgano nemmeno sul podio. Lì, oltre alla preparazione atletica, giocano anche altre componenti: l’emotività, lo stato delle attrezzature, l’armonia dell’equipaggio, la preparazione degli avversari.
All’inizio della carriera sportiva, non bisogna bruciare le tappe, ma lasciarsi guidare e consigliare da un buon coach. E “rubare” più che si può dall’esperienza altrui, con umiltà e voglia di crescere. Negli allenamenti e in gara, secondo me, l’importante è dare sempre il massimo, per non avere rimpianti davanti ai risultati ottenuti. Si può essere “vincitori” anche se anche non si sale il primo gradino del podio, ma ci si qualifica secondi o terzi. L’importante è non avere rimpianti. Ma del concetto di “vittoria” parleremo un’altra volta!
Cristiana Boggian
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